RIAPRE IL MUSEO CASTIGLIONI
visitabile da sabato 20 giugno (open day dalle ore
14)
La riapertura, del Museo
Castiglioni rappresenta il raggiungimento di un obiettivo importante
dell'Amministrazione comunale di Varese che risponde alla necessità di estendere
e rafforzare l’offerta culturale della città.
Grazie al contributo di
Regione Lombardia, del Comune di Varese e dell’associazione Conoscere Varese,
che da alcuni mesi ha avuto in gestione il museo, l’esposizione è stata
profondamente rinnovata e ampliata.
E’ stato realizzato un
nuovo ingresso e il bookshop. E’ stata allestita una nuova “sala dei graffiti”,
molto più ampia e meglio illuminata, per valorizzare queste opere d’arte
realizzate da uomini vissuti oltre 10.000 anni fa. Anche la “sala egizia” è
completamente ripensata e arricchita con ricostruzioni utili a meglio
comprendere l’unicità e la funzione dei reperti esposti.
E’ stata allestita anche
una funzionale sala audiovisivi corredata di numerosi documentari realizzati con
filmati originali, unici per qualità dei contenuti. Tali documenti, che trattano
gli argomenti contenuti nel museo, permetteranno di rendere la visita più
completa, emozionante e ricca culturalmente. La sala servirà anche per
organizzare proiezioni, convegni e incontri utili a mantenere “viva”
l’esposizione.
La “sala Tuareg” è stata
completamente rimodernata in particolare sostituendo il vecchio e rumoroso
proiettore a specchi con una più efficiente e dinamica “testa mobile” a led.
Anche gli effetti sonori e la voce narrante sono stati rivisti e migliorati per
facilitare la comprensione della spiegazione.
Un importante ed accurato lavoro è stato fatto
per rinnovare l’apparato didascalico e iconografico del museo e aggiornarlo
alla luce di recenti, nuovi studi. E' stata inoltre introdotta la traduzione in
inglese di testi e didascalie per facilitare la visita ai turisti
stranieri.
Altra importate novità è la
realizzazione di un sito internet. Oltre ad evidenziarne i contenuti, il sito
offrirà approfondite informazioni sui più importanti studi effettuati dai
fratelli Castiglioni le cui ricerche e scoperte sono testimoniate dei preziosi
ed unici reperti esposti nel museo.
Il periodico e continuo
aggiornamento del sito, con contributi, testimonianze, immagini e video
originali, permetterà al visitatore di arricchire ulteriormente la già
emozionante esperienza della visita.
Il sito è stato concepito
con i più recenti criteri ed è quindi adattivo, integrato coi principali social
network e predisposto per divenire, nel prossimo futuro, la piattaforma per le
visite guidate.
Il museo è, inoltre,
inserito nel progetto di messa in rete del sistema culturale cittadino
“VareseMusei”, potrà così godere di una maggiore visibilità e di tutti i
benefici legati alla valorizzazione, conoscenza e di messa in rete
previsti.
Si ringrazia sentitamente
tutti coloro che si sono prodigati, con vera passione, nella realizzazione di
questo allestimento. Gli architetti Nelly Cattaneo e Sara Conte,
che si sono occupati della progettazione e della parte grafica
dell’allestimento. La Prof.ssa
Serena Massa che ha fornito la consulenza
scientifica sull’ideazione del percorso e della parte archeologica del museo.
La Prof.ssa
Giovanna Salvioni per la consulenza scientifica
riguardante la parte etnologica e etnografica. Stefano Sartori che si è
rivelato un valido aiuto nell’organizzare i lavori, nella ricerca dei fornitori
e nella gestione delle problematiche sorte nel corso dei lavori. Diego
Cortesi che si è occupato della dotazione tecnologica dell’esposizione
migliorandola e modernizzandola. Alessandro Gusmini per la programmazione
degli effetti scenici dell’attendamento Tuareg. Raffi Mekiker che ha
realizzato il sito internet del museo fornendo, così, un nuovo, importante
strumento di comunicazione. Jessica Silvani per il coordinamento delle
azioni di rete dei Musei di Varese.
I ringraziamenti vanno
anche agli amministratori e al personale del Comune di Varese che hanno
sostenuto il progetto. In particolare al sindaco Attilio Fontana e
l’assessore Simone Longhini, per aver voluto con convinzione la
riapertura del museo. Al dott. Andrea Campane, dirigente del settore
cultura del Comune, per aver sostenuto e creduto nel progetto di gestione del
museo presentato dall’associazione Conoscere Varese. Il dott. Daniele
Cassinelli dell’assessorato alla cultura per il supporto e le valide
indicazioni che ha saputo fornire. L’Arch. Marco Roncaglioni, dirigente
del settore patrimonio del Comune, per gli interventi di sistemazione della
struttura. L’Arch. Massimo Figlioli dell’assessorato al patrimonio, per
aver risolto numerosi problemi riguardanti la fruizione
dell’edificio.
ORIGINE DEL
MUSEO
Il museo è nato dalla
donazione di migliaia di reperti effettuata al Comune di Varese dai fratelli
Alfredo e Angelo Castiglioni. Per sessanta anni i gemelli Castiglioni hanno
condotto missioni di ricerca e documentazione etnologica e archeologica
soprattutto in Africa. In questo lungo periodo hanno avvicinato numerosi gruppi
etnici, tecnologicamente arretrati. A titolo d’esempio ricordiamo, le
popolazioni paleonegritiche del Nord Cameroun (Matakam, Mofou, Kapsiki ecc, e i
Sombas dei monti Atakora del Togo), presso i quali soggiornarono a lungo nel
lontano 1959, le popolazioni nilotiche dell’alto Nilo Bianco (Mundari, Dinka,
Nuer, ecc), e le popolazioni di foresta (i pigmei del Gabon, gli Ewe’ e i Fon
stanziati nell’area equatoriale del Golfo di Guinea).
Durante le spedizioni,
nei deserti, nelle savane, nelle foreste e sui monti africani, non solo hanno
raccolto e catalogato oggetti della vita materiale e religiosa dei vari gruppi
etnici, ma hanno anche realizzato precise documentazioni foto-cinenematografiche
. Documenti ormai irrepetibili che fanno parte del patrimonio museale e che
permettono ai visitatori di “immergersi” in uno mondo lontano e ormai
scomparso.
Le loro ricerche sono
state stimolate e guidate dalle parole di un famoso poeta e uomo di cultura
africano, già Presidente del Senegal: Leopold Sedar Sehghor il quale ha
lasciato questa mirabile esortazione: “uomini bianchi andante negli sperduti
villaggi della mia terra e documentate le parole dei cantastorie, dei vecchi,
di tutti i depositari di un antico sapere umano, perché quando essi moriranno
sarà come se, per voi uomini bianchi, bruciassero tutte le biblioteche”. Parole
di notevole forza emotiva che i Castiglioni hanno fatto loro e che li hanno
guidati sempre nelle loro missioni di studio.
GLI
AMBIENTI
La tenda
tuareg
La ricostruzione nel
Museo di un attendamento tuareg è un “unicum”. La tenda, fabbricata con decine
pelli di capretto, sapientemente cucite e ammorbidite con grasso, è dipinta di
ocra rossa e racchiude tutti gli oggetti della vita quotidiana di questo famoso
e, in parte, ancora misterioso popolo del deserto, nonché i loro utensili, le
loro armi, i giacigli, le sacche di pelle decorate, la loro gioielleria in
argento, ecc. Troviamo anche la lunga stuoia intrecciata con graminacee e
strisce di cuoio colorato. E’ il paziente lavoro delle donne, che funge da
parete e difende gli abitanti da sguardi indiscreti, lasciando tuttavia, passare
l’aria che rinfresca l’ambiente
Una voce narrante
illustra i vari oggetti, illuminati da uno spot che guida l’attenzione dei
visitatori, i quali si trovano immersi nei rumori e suoni dell’ambiente: i
belati delle capre, il parlottio, ecc. che rendono più realistico e suggestivo
l’insieme.
I graffiti dei fiumi di
pietra
I graffiti rupestri
del uadi Bergiug, in Libia, sono stati documentati dai Castiglioni negli alvei
di antichi fiumi ora dissecati (“i fiumi di pietra”, per l’appunto) sulle cui
pareti popolazioni preistoriche hanno lasciato nel uadi Bergiug, in Libia, le
tracce del loro passaggio e della loro attività. Un insieme di numerosi
graffiti di grande impatto, “una straordinaria pinacoteca all’aperto di arte
preistorica”, come qualcuno l’ha definita.
Elefanti, rinoceronti,
ippopotami giraffe, antilopi e bovini (tra i quali il “bubalus anticuus”), sono
realizzati con stile naturalistico e evidenziati talvolta con solchi profondi.
Tutta la “grande fauna selvaggia” (così è stato definito questo periodo
dell’arte rupestre), è rappresentata in un ambiente desertico, regno della
sabbia e delle pietre, lontano specchio di quel mondo verde e ricco d’acqua che
permetteva un tempo, la sopravvivenza umana e animale .
Nel museo sono esposti 21
calchi di queste incredibili opere d’arte che rappresentano anche scene di
caccia e trappole per la cattura di grandi animali. Si tratta di riproduzioni
perfette degli originali, ottenuti dai Castiglioni utilizzando una apposita
resina epossidica, messa a punto dalla Ciba. I visitatori potranno ammirare
questi “quadri” unici e che solo Varese possiede, messi in evidenza con un
sapiente gioco di luci. Già esposti in altre occasioni, come al XXVI Festival
dei due mondi di Spoleto, dove hanno riscosso un notevole successo.
I busti dei Nilo
Camiti.
I Nilo Camiti, vivono con
le loro grandi mandrie di bovini nelle savane dell’Africa orientale, suddivisi
in diversi gruppi etnici: Turkana, Pokot, Karimojon. ecc e, i più noti Maasai.
Popolazioni di pastori che estrinsecano il proprio senso artistico nelle loro
elaborate acconciature, abbellite con colori naturali e esaltate da piume di
struzzo e perline colorate. E’ la “body art” più genuina. Nel Museo sono esposti
alcuni busti di queste etnie, realizzati da uno scultore nel rispetto
dell’antropologia culturale, completati con parrucche di capelli africani,
elaborate da “parrucchieri” locali con materiali naturali utilizzati da
sempre. Un lungo lavoro, che ha permesso di ottenere acconciature uniche che
resteranno a testimoniare “un arte corporale” destinata a scomparire. Nel
portare a termine anche questo impegnativo lavoro, i Castiglioni sono stati
motivati, ancora una volta, dalle parole di Sengor: “Se alla conoscenza
universale mancherà anche solo la conoscenza di una solo popolazione, il mondo
sarà incompleto e senza pace.”
In un’altra sala,
all’interno di alcune vetrine, sono esposti anche gli oggetti di uso quotidiano
dei Nilo Camiti: il loro vestiario e gli ornamenti, nonché le differenti armi di
offesa (lance, pugnali, mazze ecc.) e di difesa (scudi di tipologie differenti
appartenenti a diversi gruppi etnici) e particolari armi, tipiche di queste
popolazioni: i micidiali e taglienti anelli e i “coltelli” da polso.
L’oro
dell’antichità
Il 12 febbraio 1989
l’èquipe dei fratelli Castiglioni ritrovò la dimenticata città di Berenice
Pancrisia, nel deserto nubiano sudanese, la città “tutta d’oro”menzionata da
Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia di cui si era persa l’ubicazione.
Un ritrovamento che l’Accademico di Francia Jean Vercoutter annoverò “ tra le
grandi scoperte dell’archeologia”.
In queste vaste distese
desertiche i Castiglioni documentarono decine di insediamenti minerari
abbandonati, compresi in uno spazio temporale dall’Egitto faraonico al periodo
medievale arabo. Un mondo legato all’ estrazione dell’oro dove erano ancora
visibili i ruderi dei sommari ricoveri dei minatori e gli utensili litici
(macine, pestelli. incudini) utilizzati per frantumare il quarzo aurifero e
polverizzarlo poi con le macine a rotazione per ottenere una polvere sottile,
“come farina” (ci informa Diodoro Siculo), che veniva successivamente lavata su
piani inclinati per liberare le minute particelle d’oro. Un lavoro disumano che
ha fatto scrivere a Diodoro Siculo che “l’unica speranza dei condannati alle
miniere era in una rapida morte”. Nel museo troviamo alcune macine e gli altri
semplici utensili litici necessari all’estrazione dell’oro. Per meglio
comprendere il duro lavoro legato alla produzione del prezioso metallo, nel
Museo sono esposti quaranta chili di quarzo aurifero dal quale, se venissero
effettuate le fasi di lavorazione sopra menzionate (frantumazione,
polverizzazione, lavaggio della polvere) si otterrebbero le insignificanti
pagliuzze d’oro messe in mostra.
Una ricerca svolta nel
deserto nubiano dai Castiglioni che si è protratta per qualche decennio e che ha
permesso di riscoprire le antiche piste dell’oro, della penetrazione militare
egizia diretta alla conquista della Nubia e, le più recenti, piste dei
pellegrini islamici attraverso il deserto diretti ai porti d’imbarco sul Mar
Rosso.
Smeraldi, selce e Silica
glass
Accanto all’ oro nel
Museo sono illustrati anche i risultati di altre ricerche che hanno portato al
ritrovamento delle antiche e dimenticate miniere di smeraldi, in Egitto,
impropriamente chiamate le miniere di Cleopatra, di documentare le antiche zone
di estrazione della selce che scheggiata in taglienti lamine veniva inserite in
falci di legno (due “copie” si trovano nel Museo, opera di Gianni Moro di
Oderzo), utensili agricoli ampiamente usati nell’Egitto faraonico per mietere i
cereali. Troviamo, infine, esposti anche alcuni pezzi di Silica Glass, il
misterioso minerale risalente a trenta milioni di anni fa che, sembra, sia stato
prodotto da un corpo celeste. Un minerale conosciuto anche nell’Egitto faraonico
e che troviamo inserito al centro di un “pettorale” di Tutankhamon, tagliato a
forma di “keper” lo scarabeo stercorario simbolo di rinascita, (che si riteneva
fosse di calcedonio) e che recenti analisi hanno stabilito trattarsi di Silica
Glass.
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